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Pagina 105 - Il 20 dicembre elezioni in Spagna.

Spagna, fra tre giorni le elezioni generali.

Podemos sembrava destinata a vincerle a mani basse ma forse non sarà così. Iu sembrava destinata a sparire e sembra crescere. La mancata alleanza a sinistra

di Enrico Baldin, 17 dicembre 2015

Se si pensa ad alcuni mesi fa, pareva fosse solo questione di tempo. Per la Spagna veniva frettolosamente prevista una prossima virata al rosso, anzi al viola. Nello scenario europeo Tsipras non sarebbe più stato solo, la sinistra da copiare perché sa vincere era sbarcata nella penisola iberica. Mentre l’impetuosa ascesa di Podemos lo faceva accreditare come primo partito spagnolo dai sondaggi della scorsa primavera, PSOE e PP parevano vicini al tracollo sotto i colpi degli scandali, della corruzione e del mal governo.

Ma la politica, si sa, in questi ultimi anni è cambiata. Viaggia a velocità alta e in poco tempo il panorama può rivoluzionarsi. La Spagna in questo non fa eccezione e in soli pochi mesi la veloce crescita di Podemos pare essersi arrestata, il tracollo vertiginoso di PP e PSOE pure, e nello scacchiere si è presentata Ciudadanos, una nuova formazione populista e di destra, che pare in grado di tener testa ai tre principali contendenti.

Cosa accadrà domenica prossima al momento non è dato sapersi, quel che è certo è che nessuno trionferà e difficilmente la lista più votata potrà evitare di dover comporre un governo di coalizione. La speranza di molti simpatizzanti di vedere formarsi un governo rosso o viola che sia, è ridotta ai minimi termini.

Anche se Podemos nelle ultime settimane pare in recupero. Questo almeno è quel che dice l’ultimo sondaggio uscito ieri non dalla Spagna, dove è proibito diffondere sondaggi elettorali a ridosso delle elezioni, ma da un quotidiano del piccolo stato di Andorra. Il PP sarebbe ancora in testa col 25,4%, ma Podemos al 19% insidierebbe da vicino il secondo posto del PSOE, con Ciudadanos più staccato complici anche i numerosi attacchi e gli scivoloni di cui è stato vittima negli ultimi dieci giorni. Non fosse per i sondaggi a testimoniarne la sensazione di ripresa basterebbero i discorsi efficaci di Pablo Iglesias e del “suo secondo” Inigo Errejon – il 31enne con fare da secchione – che continuano a convincere i telespettatori dopo i confronti con gli altri candidati.

Ma anche la campagna elettorale nei territori sta avendo riuscita, sull’onda lunga di un entusiasmo ed una passione che la Spagna non conosceva da tempo. Podemos infatti presenta dei volti puliti, critica il sistema bipartitico, propone ricette nuove e soprattutto si pone contro la casta, sia quella politica dei partiti tradizionali, o quella delle lobbies bancarie e tecnocratiche.

Sempre secondo il sopraccitato sondaggio, al quinto posto ci sarebbe Izquierda Unida – Unidad Popular, stimata al 4,8%. La legge elettorale proporzionale con collegi a liste bloccate però, castigherebbe la lista di Alberto Garzon a cui vengono attribuiti solo 3-5 seggi. Anche per questo è scattata la solita gogna del voto utile, che va a sommarsi all’esclusione della lista da molti dibattiti televisivi. Lunedì sera il giovane candidato di IU-UP ad un improvvisato comizio in una calle di Madrid arringava: «Possono escluderci dai comizi ma non possono escluderci dalle strade». Le tappe della sua campagna elettorale paiono dargli ragione: a Zaragoza, a Cadiz, a Madrid, ad Alicante e ieri sera a Siviglia, Garzon ha riempito letteralmente auditorium, teatri, palazzetti, dando una spinta importante alla corsa al 20 dicembre. Oltre a questo Garzon sta avendo un enorme successo nell’altro terreno di corsa politica, quello dei social network. Niente male per il candidato di una lista che ad inizio ottobre veniva data intorno al 3% e col concreto rischio di non eleggere rappresentanti al Congreso.

IU peraltro scontava grossi problemi interni: da un lato chi imputava a Garzon di non esser riuscito a trovare l’accordo con Iglesias e per questo è passato dall’altra parte, dall’altro chi pensava che con Podemos non si doveva neppure iniziare una trattativa. Ad ottobre comunque la tanto accarezzata alleanza elettorale con Podemos sfumò.

Le condizioni che sarebbero state imposte da Iglesias (nome e simbolo del partito viola senza se e senza ma) erano irricevibili per IU che nonostante il 10% delle precedenti Europee non partiva di certo col coltello dalla parte del manico. E di lì iniziarono le reciproche accuse per il mancato accordo. Così tra Iglesias e Garzon, reduci anche dall’insuccesso della comune lista in Catalogna, le strade si separarono.

Garzon in questi mesi non ha mancato di affrontare Podemos. Ha sostenuto che Ciudadanos e Podemos «copiano le stesse miserie del bipartitismo», ha imputato a Iglesias di aver rinunciato ad alcuni valori della sinistra man mano che si avvicinavano le elezioni, e spesso nelle interviste ha fatto notare che il presidente della CEOE (la Confindustria spagnola) ha detto che il programma di Podemos non lo preoccupa e di sentirsi tranquillo con la vittoria di ciascuna delle principali liste.

Attacchi radenti ma centellinati in questi mesi di avvicinamento al voto, perché IU-UP in realtà contende a Podemos lo stesso elettorato che non vuole irritare con una incomprensibile litigiosità fra simili. E in nome del “non vogliamoci troppo male” è pure passato un po’in sordina che il numero due di Podemos nel collegio di Zaragoza è un militare, e non l’ultimo arrivato visto che Jose Rodriguez è stato capo di Stato Maggiore della difesa.

Iglesias d’altra parte ha generalmente ignorato i commenti ficcati di Garzon, conscio di correre un’altra corsa rispetto a quella del deputato di Malaga, ma anche del fatto che per molti è difficile comprendere che le due liste sono andate ognuna per la sua strada.
I programmi del resto non sono molto differenti l’uno dall’altro. Entrambi toccano temi come l’ecologia, la democrazia nelle istituzioni, la precarietà, il sistema bancario, gli scenari internazionali. Molte assonanze e qualche piccola differenza come l’ordine di importanza dato a certe cose: il programma di Podemos punta innanzitutto sul reddito minimo di cittadinanza garantito a tutti, quello di IU-UP antecede a questo un piano di assunzioni pubbliche che eviti di dover elargire il reddito di cittadinanza.

Quella di Garzon è una sinistra classica, per quanto innovativa in diverse forme. Podemos invece rifiuta l’etichetta “sinistra”, esplora metodi e considerazioni della campagna Indignados, ma si mostra più aperta in economia anche verso le liberalizzazioni e l’iniziativa privata. Quanto basta a Garzon per chiedere il voto a una sinistra “forte e degna di questo nome”.








Elezioni Spagna 2015: La svolta di Podemos e Ciudadanos

 da Beniamino Valeriano 


Elezioni Spagna 2015: l’ultimo sondaggio di Metroscopia per El País vede due nuove formazioni politiche incalzare i due principali partiti. Si tratta di Podemos e Ciudadanos (C’n), rispettivamente al 19,1 e 18,2 per cento. Basti pensare che il Partido Papular (PP) di Rajoy – ora alla guida del paese – è fermo al 25,3%; mentre il partito socialista (PSOE) rimane inchiodato al 21%. Ma quali sono le affinità e le differenze tra Podemos e Ciudadanos? Che cosa li rende diversi dai partiti tradizionali?

Elezioni Spagna 2015: Che cosa vuole Podemos?

Podemos è figlio della disillusione. E’ un partito nato dal movimento di protesta degli “indignados” del 2011. E’ il partito degli esclusi, dei giovani a quali è stata sbarrata la strada per il futuro. E dalla rabbia può solo nascere un partito con posizioni intransigenti, che non lascia spazio a nessun compromesso. Come dare fiducia, d’altronde, ai due partiti che hanno voltato le spalle ai cittadini negli anni più neri della crisi economica spagnola?
Pablo Iglesias ha avuto l’intuizione di convogliare questa insoddisfazione e di formare un partito che si differenziasse nel panorama politico. Nel 2014 Podemos ha preso l’8% alle elezioni europee, conquistando cinque seggi. Un buon battesimo elettorale.
Ma che cos’è Podemos? Oltre ad opporsi all’attuale classe politica spagnola, Iglesias ha preso posizioni molto forti contro l’Unione Europea e la Germania, vista come la causa principale dell’attuale situazione economica del paese. Inoltre, si vorrebbe ridiscutere o revocare il Trattato di Lisbona (uno dei trattati fondanti dell’Unione) e alcuni accordi di libero scambio, queste le richieste principali.
Il partito auspica il ritorno al locale, con incentivi alla piccola impresa e alla produzione di cibo a km zero. Iglesias è favorevole alla nazionalizzazione di gran parte dei servizi pubblici. Infine, Iglesias ha giurato di voler contrastare il dominio delle grandi imprese, delle banche e alla finanza.
In pochissimo tempo, il partito di Iglesias ha raccolto intorno a sé un numero sempre maggiore di consensi. Basti pensare che lo scorso maggio, in un sondaggio di Metroscopia, Podemos era il primo partito con il 27%.
Qualcosa però si è rotto con il passare del mesi. Innanzitutto alcune posizioni intransigenti hanno fatto accostare Podemos a Syriza e, a seguito dell’esperienza di Tsipras, hanno fatto allontanare molti potenziali elettori. Inoltre, ha fatto il suo ingresso sul palcoscenico nazionale Ciudadanos, partito che ha iniziato a sventolare la bandiera dell’anti-casta tanto cara a Iglesias. 

Elezioni Spagna 2015: Ciudadanos, la risposta a Podemos?

Ciudadanos non nasce dal nulla. Ma soprattutto non nasce come “la risposta di destra” a Podemos. Indubbiamente, però, condivide con il partito di Iglesias il forte sentimento anti-casta, reazione alla crisi del 2008 e alle politiche di austerity di Mariano Rajoy.
Nato nel 2006 come movimento regionalista contrario alle spinte indipendentiste della Catalogna,Ciudadanos si è presto dato una struttura nazionale, senza però raggiungere grandi risultati elettorali. Il suo giovane leader, Albert Rivera, ha iniziato la sua carriera politica in Catalogna e, grazie al suo indiscusso carisma, è riuscito a conquistare il partito e i cittadini spagnoli.
Con la capacità di presentarsi come “un’alternativa ragionevole” a Podemos, Rivera ha saputo raccogliere attorno a sé un forte consenso e, se i sondaggi varranno confermati il prossimo 20 dicembre, potrà essere l’ago della bilancia per la formazione di un nuovo governo. Ad ogni modo,Rivera ha già fatto sapere che non ha intenzione di stringere alleanze.
Il programma di Ciudadanos può essere definito liberale, soprattutto per le politiche economiche, anche se per molti aspetti si presenta come un ibrido non ben definito. Per il rilancio dell’economia e dell’occupazione, Rivera propone meno tasse e più incentivi per le imprese, una semplificazione burocratica e una riforma su base contributiva del sistema previdenziale.
Il suo programma, però, prevede anche forti aiuti alle famiglie, il diritto all’abitazione, all’educazione e alla salute. Sebbene c’è la volontà di eleminare gli spechi, il settore pubblico non viene demonizzato, anzi. Rivera vuole incentivare gli ammortizzatori sociali come, ad esempio, un assegno per la formazione dei disoccupati.
Ciudadanos propone una maggiore trasparenza delle istituzioni, l’abolizione del Senato e delle province, l’eliminazione dei privilegi dei parlamentari e una nuova legge elettorale, ispirata al modello tedesco. Di fatto Rivera si definisce “progressista e federalista europeo” e auspica una politica europea maggiormente coordinata. Infine, Rivera propone una politica di accoglienza degli immigrati in base alle possibilità del paese ospitante e impedire l’assistenza sanitaria per gli immigrati irregolari. Un modo per dire che, almeno per ora, la Spagna non vuole farsi carico del fenomeno dell’immigrazione.


18 dicembre 2015

MADRID - Domenica la Spagna andrà al voto per la più italiana delle elezioni della sua storia democratica: due nuovi partiti si sono affacciati sul panorama politico spagnolo e per la prima volta dalla morte di Franco il bipartitismo e l'alternanza non saranno più la regola. Coalizioni, patti, strategie: cose a cui gli italiani sono abituati ma che a Madrid sono qualcosa di nuovo, tutto da scoprire. E le tensioni in campagna elettorale non sono certo mancate: l'ultima è stata l'aggressione di un giovane di sinistra al premier Rajoy.

Il Partido popular (Pp) e il Partido socialista obreros español (Psoe) si sono alteranti al governo per oltre 30 anni, ottenendo sempre un'ampia maggioranza che permetteva, all'uno o all'altro, di governare da soli. Ma oggi non è più così: la nascita e la crescita del partito centrista di Ciudadanos (C's) e della sinistra à la Tsipras di Podemos hanno cambiato il volto della democrazia spagnola. Finora le conseguenze si sono viste solo a livello municipale e regionale, ma dal 20 dicembre (20-D, come si usa indicare in Spagna) anche dalle Cortes Generales sparirà la maggioranza assoluta.

La partita è complessa, anche perché un'ampia fetta degli elettori si dichiara indeciso e potrebbe anche sposare l'astensionismo. Il governo di Mariano Rajoy (Pp) difende le riforme di questi 4 anni e accusa lo Psoe per l'eredità che ha lasciato il governo Zapatero dagli anni della crisi. Però tanti spagnoli sono ancora senza lavoro, con un tasso di disoccupazione oltre il 20% (ma che è sceso di 5 punti dal massimo raggiunto nel 2013). E' "il governo della disoccupazione" attaccano i socialisti, beccandosi la piccata nonché classica risposta di chi è al potere: "E' facile parlare, più difficile governare", come hanno ripetuto più volte i dirigenti popolari.

Ma il Pp - che è stato colpito da molti casi di corruzione, senza esserne travolto - può contare ancora su ampi settori di consenso nel paese, tanto che i sondaggi lo danno largamente primo partito, quasi al 30% il 3 dicembre e in flessione intorno al 25% a una settimana dal voto, lontano però dalla possibilità di governare da solo.

Se di solito il partito d'opposizione arriva al voto in forma e con il vento in poppa, questo è tutt'altro che vero per lo Psoe. Che anzi arriva alle urne in grande difficoltà. Il segretario Pedro Sanchez, accusato di non avere il controllo pieno del partito, si è ritrovato attaccato da destra (Ciudadanos) e da sinistra (Podemos), partiti nuovi che hanno eroso buona parte del suo bacino di voti. Sanchez sta provando a far passare l'idea del voto utile, perché "lo Psoe è l'unica alternativa di governo", e "un voto dato a Podemos è sprecato" perché non arriverà mai a governare.

Ma lo Psoe paga, oltre alla sua posizione nello spettro politico (anche il Pp perde voti, ma solo al centro e può più facilmente provare a contenere l'emorragia), il suo essere un partito storico in un periodo in cui l'anti-casta rappresentata da C's e Podemos va per la maggiore. Nei sondaggi, stabile poco sopra il 20%, i socialisti sono seriamente insediati sia da Ciudadanos che da Podemos, che potrebbero strappargli il ruolo di secondo partito di Spagna. Sarebbe uno smacco difficilmente superabile per Psoe e Sanchez, ancora di più se dovesse finire quarto nelle urne.

Ci sono poi le due stelle nascenti della politica iberica: Albert Rivera(Ciudadanos) e Pablo Iglesias (Podemos). Entrambi hanno posizioni che in Italia hanno fatto la forza del M5s: la lotta alla corruzione, il definirsi il nuovo che avanza, il no ai privilegi e alla casta - #malditacasta, #maledettacasta è lo slogan di Podemos. La genesi di C's è in Catalogna, dove ha assunto la guida del fronte anti-indipendentista, partendo da posizioni di centrosinistra. Poi, crescendo a livello nazionale, c'è stata la deriva al centro, tanto che Ciudadanos oggi pesca un po' più nel bacino elettorale del Pp che in quello dello Psoe.

Ma le posizioni centriste di Rivera gli permetteranno di trattare con tutti gli altri da una posizione di forza. Rivera ha già detto che è pronto a fare accordi con i popolari sull'economia (meno tasse), con i socialisti sulle misure sociali, con Podemos sulla riforma del sistema politico. E' la politica delle mani libere e prima del 20 dicembre difficilmente Rivera si sbilancerà più di così, anche perché - sposando una coalizione o l'altra - rischierebbe di perdere voti.

Podemos è il partito di sinistra nato dal movimento degli indignados. Il modello è Tsipras e i suoi consensi sono altalenanti, un ottovolante nei sondaggi. Qualche mese fa era favorito, è sceso al 9% dei consensi (dati del 3 dicembre) per poi tornare a sfiorare il 20% a pochi giorni dal voto, superando di poco Ciudadanos. Il suo leader Iglesias ha uno stile schietto e deciso, senza giacca e maniche arrotolate, con una forte personalità e un po' di populismo. Un po' Tsipras, un po' Beppe Grillo. Ma Podemos è il partito che - non avendo nulla da perdere - ha più da guadagnare in questi ultimi giorni di campagna. E sta spingendo molto sull'idea che una remuntada (rimonta) è possibile, aiutato dai buoni risultati di Iglesias nei dibattiti.

Difficile dire che governo sarà, mentre è scontato che il primo tentativo di formare un esecutivo toccherà al partito che avrà la maggioranza relativa, ovvero il Pp. Ma i popolari temono un possibile tripartito che lo metta in minoranza, ovvero un accordo Psoe-Ciudadanos-Podemos sul modello di quanto fatto dalle sinistre in Portogallo. Accordo che però sembra molto difficile per tutti gli analisti.

L'esito più probabile, con le percentuali anticipate dai sondaggi, è un governo Pp con la partecipazione o l'appoggio esterno di Ciudadanos. Non è detto che si sia Rajoy a rimanere alla Moncloa però, perché Albert Rivera potrebbe chiederne la testa. Spazio allora forse alla sua vice, Soraya Saenz de Santamaria, che ha fatto una buona figura nel dibattito a quattro a cui Rajoy non ha voluto partecipare.

Sullo sfondo del voto e del dibattito politico, ma sottotraccia, si muovono tre grandi temi: la forma di Stato, con ampi settori dell'opinione pubblica che vedrebbero positivamente la fine della monarchia e una Spagna repubblicana; le spinte indipendentiste, soprattutto catalane; una riforma elettorale, perché quella attuale - con circoscrizioni provinciali - ha sempre favorito i due partiti maggiori a danno dei più piccoli. E ora, con quattro partiti in campo, non garantirà nemmeno la governabilità.

Gli spagnoli, che stanno cercando capire, analizzare, forse anche immaginarsi questa nuova forma 'tetracefala' del parlamento, parlano sempre di più di 'italianizzazione'
del sistema partitico. Come ha detto - ironizzando e con preoccupazione - l'ex premier socialista Felipe Gonzales: "Andiamo verso un parlamento italiano, ma senza italiani a gestirlo". Per sapere se sarà un bene o un male, bisognerà attendere il 21- dicembre.





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