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Pagina 60 - I tagli della spesa cassati da Renzi

Roberto Perotti, ecco i tagli alla spesa cassati da Renzi
di Sveva Biocca Palazzi
Sgravi fiscali, sussidi alle imprese, stipendi nelle ambasciate e non solo.
Ecco tutte le recenti proposte dell'economista bocconiano, Roberto Perotti, che ha lasciato l'incarico di commissario alla revisione della spesa.

E quattro. Roberto Perotti, PhD in Economics al MIT di Cambridge, professore alla Columbia University di New York e poi alla Bocconi, si taglia fuori dall’incarico assunto, a titolo gratuito, poco più di un anno fa, quello di consigliere economico del presidente del Consiglio con particolare attenzione alla spendingreview. Stessa sorte era toccata anche a Piero Giarda nel 2012, Enrico Bondi nel 2013 e Carlo Cottarelli nel 2014. “La spending review non è una priorità”, ha detto il professore a “L’erba dei vicini” diBeppe Severgnini in onda lunedì sera su Rai3. Il compito assegnatogli da Matteo Renzi era quello di trovare 10 miliardi di euro per il 2016 ma, nella legge di Stabilità, gli interventi “non arrivano neppure a 6 miliardi”, scrive Federico Fubini sul Corriere della Sera. “Perotti – continua il Corsera – voleva una sfoltitura degli sgravi fiscali per un pacchetto di 1,5 miliardi”, ma il premier si è opposto  dicendo che questo avrebbe comportato un aumento della pressione fiscale.
Ma che cosa aveva proposto davvero Perotti a Renzi che il premier ha rigettato? Non si sa. Eppure, andando a rileggere articoli e analisi scritti dall’economista Perotti in particolare sul sito Lavoce.infofondato da Tito Boeri e Francesco Giavazzi, qualcosa si può arguire sugli interventi choc che aveva approntato il bocconiano.

AGEVOLAZIONI FISCALI
Le tax expenditures, o agevolazioni fiscali, erano il cuore della spending review ipotizzata da Perotti e quindi sono diventate anche la ragione ufficiale della rottura con la presidenza del Consiglio. “Le tax expenditures sono un tratto distintivo del sistema fiscale italiano che, da un lato, si caratterizza per l’elevato livello di tassazione, ma dall’altro prevede un numero altrettanto elevato di agevolazioni, detrazioni e deduzioni (in moltissimi casi frutto di microconcessioni) che causano un mancato gettito fra i 253 e i 152 miliardi”. Perotti aveva ipotizzato una rimodulazione di 52 delle 720 tax expenditures censite che avrebbero dovuto portare a risparmi di circa 1,5 e 2,3 miliardi nei prossimi due anni. Ma Renzi non le “accolse” dichiarando:  “C’è stata una discussione aperta sulle tax expenditures al termine della quale abbiamo scelto con dispiacere di non intervenire. Spero che Roberto continui a lavorare con noi”.

SUSSIDI ALLE IMPRESE
Perotti scriveva che gli sgravi fiscali sono troppi e fuori controllo. Troppi perché “i bandi, praticamente, regalano fiumi di fondi pubblici”. Fuori controllo perché “nessuno sa esattamente il valore effettivo di queste cifre, e quali effetti abbiano avuto questi sussidi”. Secondo Perotti è necessario limitare i “finanziamenti a pioggia che vengono elargiti alle imprese con con sussidi a fondo perduto di centinaia di milioni” e “mettere a disposizione delle aziende persone con esperienza diretta delle problematiche delle startup, che sappiano svolgere il ruolo cruciale di mettere in collegamento e in comunicazione gli imprenditori con il settore pubblico”. Ma il motivo vero che causa questa “frenesia” dei bandi, spesso, è dovuta ai fondi strutturali perché, “se non utilizzati entro il 2015, devono essere restituiti all’Europa”.
AMBASCIATE
Perotti compara ed evidenzia i maxi-guadagni che “privilegiano i privilegi delle ambasciate”. “In media, le remunerazioni nette degli ambasciatori italiani sono due volte e mezzo quelle dei tedeschi, con punte che, in Europa e in America del Nord, arrivano quasi a triplicarsi. A Tokyo, per esempio, l’ambasciatore italiano prende 27.028 euro al mese, mentre quello tedesco deve accontentarsi di 10.018. E ancora a Washington l’ambasciatore italiano guadagna 24.606 euro al mese, mentre quello tedesco 9.495 euro. L’ambasciatore italiano a Parigi porta a casa 20.995 euro al mese, l’omologo tedesco 8.449; l’ambasciatore italiano a Mosca è retribuito con 26.998 euro al mese, mentre il suo omologo tedesco con 10.018″.
MINISTERI
Perotti ha comparato anche i ruoli apicali di quattro ministeri italiani (Economia, Esteri, Politiche Agricole e Salute) con i pari grado dei dicasteri britannici. “La figura più senior, in Italia, è il capo di gabinetto, che guadagna 275.000 euro mentre in Gran Bretagna il permanent undersecretary guadagna 192.000 euro segnando una differenza del 43 per cento. Dopo di questi, i tre direttori di dipartimento guadagnano, in media, 287.000 euro, contro i 166.000 euro dei director general, differendo del 70 per cento. I sette direttori generali guadagnano 192.000 euro contro i 118.000 euro dei director segnando un gap del 60 per cento”.
FONDI EUROPEI
“Ogni euro di fondi strutturali europei che riceviamo, ci viene a costare due euro: un euro che dobbiamo versare all’Unione Europea, e un euro che dobbiamo mettere come cofinanziamento”, questo,  come ha scritto Perotti, “è il vero problema”. Il cofinanziamento era stato pensato “per responsabilizzare chi chiedeva finanziamenti ma, in Italia, chi li riceve non coincide con chi li cofinanzia” (rispettivamente regioni e Stato). Quindi alle regioni importa poco di controllare se l’allocazione dei fondi porti i risultati prefissati e così “inevitabilmente, questa spesa è sfuggita di mano”. “Il nuovo ciclo di programmazione europeo per il settennato 2014-20, prevede un’allocazione di 41 miliardi di fondi strutturali da destinare all’Italia, di cui oltre 24 solo alle regioni del Mezzogiorno. Questa cifra va raddoppiata con la quota di cofinanziamento italiano. Si tratta quindi di un fiume di denaro”.

CORTE COSTITUZIONALE
Costa troppo, soprattutto se comparata ad altri Paesi. “Ogni giorno, ogni giudice costituzionale costa 750 euro di sole auto blu. Esattamente: per ogni giudice, ogni giorno lavorativo si spendono in media 750 euro per le sole auto blu. (…) La consulta costa ogni anno un totale di 45 milioni di euro” e, continua Perotti, “in Gran Bretagna i giudici della Corte suprema ricevono un appannaggio di 235 mila euro. In Canada non si superano i 216 mila euro. E ancora meno guadagna il presidente della Corte suprema Usa: 173 mila euro”.
EXPO 
Perotti, a Milano e non solo, è noto per essere stato, a differenza del premier Renzi, molto scettico sull’Esposizione universale appena terminata: “Il problema di Expo 2015 non è la corruzione né i ritardi. Il vero problema è che non avrebbe dovuto esistere”, scriveva Perotti a una settimana dall’inizio dell’Expo. Il professore spiegava che accanto all’aumento del Pil, dovuto alla nascita di nuovi beni, servizi, aziende e benefici per l’indotto e per il turismo, non sono stati presi in considerazione i soldi spesi per fare Expo e quelli non spesi per andare a Expo e porta un esempio: “Nei due giorni che sta all’Expo, il visitatore riduce altri tipi di consumi: se non avesse visitato l’Expo, magari sarebbe andato al ristorante nella sua città, oppure allo stadio, oppure a un museo”. Più in generale Perotti sottolineava che un aumento del Pil è sempre tale se non vengono prese in considerazione tutte le voci di spesa: “per investire 3,2 miliardi prima o poi bisogna alzare le tasse di circa 3,2 miliardi. (…) Ma alzare le tasse riduce la produzione e il Pil”.


 

Spending Review:  la Corte Costituzionale e i suoi privilegi

La Consulta costa 45 milioni ogni anno. Ha una spesa previdenziale di 6 milioni. E giudici pagati fino a 550 mila euro all'anno. L'ultima sentenza sulla legge 40.
14 Maggio 2015
Roberto Perotti, bocconiano chiamato a Palazzo Chigi da Matteo Renzi per ridare linfa alla spending review, ha scritto due anni fa sullaVoce.info: «Ogni giorno, ogni (suo) giudice costa 750 euro di sole auto blu. Esattamente: per ogni giudice, ogni giorno lavorativo si spendono in media 750 euro per le sole auto blu».
Rispetto ad allora la Corte Costituzionale - ultimo custode della sacralità della Carta e in queste vesti fustigatrice per eccellenza dei malvezzi della politica, come dimostra la sentenza sul congelamento della perequazione pensionistica - è cambiata molto poco, a riprova che la spending review non entra in alcuni palazzi.

SPESA CORRENTE DI 45 MILIONI. 
A ben guardare l’organismo, nella nota illustrativa e integrativa del suo bilancio di previsione, rivendica che «la diminuzione delle spese correnti precedentemente descritta era stata già avviata nel 2014. Tuttavia in un contesto di così radicale ridimensionamento, nel corso di detto esercizio, era stato comunque possibile realizzare ulteriori economie, consolidatesi nella misura complessiva di euro 480 mila».
Tutto vero, visto che nel 2013 la spese corrente fu di 61.476228,62 mentre 12 mesi dopo si è scesi a 45.210.401 euro. E che quest’anno si prevede di arrivare a 44.786.000.

EMOLUMENTI E CONTRIBUTI STAZIONARI. 
Peccato che non scendano di un centesimo le voci più onerose del bilancio: i trasferimenti da parte dello Stato (52.700.000) per finanziarne la dotazione e, soprattutto, l’accantonamento per gli emolumenti e i contributi dei giudici.
In quest’ottica basta dire che il governo Renzi, come i precedenti, non può estendere il tetto salariale ai dirigenti della Pubblica amministrazione ai giudici dell’Alta corte. Se pure volesse, dovrebbe cancellare la legge costituzionale n. 87 del 1953, che (dopo una modifica voluta dal governo Berlusconi nel 2002) recita: «I giudici della Corte costituzionale hanno tutti egualmente una retribuzione corrispondente al più elevato livello tabellare che sia stato raggiunto dal magistrato della giurisdizione ordinaria investito delle più alte funzioni, aumentato della metà. Al presidente è inoltre attribuita una indennità di rappresentanza pari a un quinto della retribuzione».

550 MILA EURO AL PRESIDENTE DEL CONSESSO. 
Se non bastasse, viene anche garantita «ai giudici eletti a norma dell’ultimo comma dell’articolo 135 della Costituzione un’in­dennità giornaliera di presenza pari a un trentesimo della retribuzione mensile spettante ai giudici ordinari».
I numeri che ne scaturiscono sono esorbitanti. Se la base di partenza è la retribuzione del primo presidente della Corte di Cassazione - il quale ha uno stipendio medio di 311 mila euro lordi annui - aumentato della metà, si arriva ai 467 mila euro annui per i giudici ordinari e ai 550 mila euro per il presidente del consesso, che per legge ha diretto a un incremento di un ulteriore 20%.

La situazione all'estero: 235 mila euro in Gb e 173 mila negli Usa

Questi numeri, tuttavia, non sono spropositati soltanto se paragonati agli emolumenti degli altri alti magistrati italiani oppure ai principali dirigenti apicali del Paese.
Per esempio in Gran Bretagna i giudici della Corte suprema ricevono un appannaggio di 235 mila euro. In Canada non si superano i 216 mila euro. E ancora meno guadagna il presidente della Corte suprema Usa: 173 mila euro.
Non meno salati, per il contribuente, sono gli assegni pensionistici degli ermellini.


LA MOLTIPLICAZIONE DELLE PENSIONI. 

La Corte ha messo nel bilancio di previsione 1.235.000 euro alla voce “Oneri per quiescenza a carico della Corte sulla retribuzione dei Giudici costituzionali”, 1,2 milioni a quella “Irap e altri oneri previdenziali a carico della Corte sulla retribuzione dei Giudici costituzionali” e 2.942.000 ancora a quella “Oneri previdenziali ed erariali a carico dei Giudici” e che vengono trattenuti sui lordi, pagati con soldi pubblici.
Questo perché la solita legge del 1953 prevede che «tale trattamento (la retribuzione, ndr) sostituisce ed assorbe quello che ciascuno, nella sua qualità di funzionario di Stato o di altro ente pubblico, in servizio o a riposo, aveva prima della nomina a giudice della Corte». In pratica, basta un passaggio alla Consulta per vedersi ricalcolata verso l’alto la propria pensione, soprattutto in soggetti che possono contare ancora in parte sul metodo retributivo.


SPESA PREVIDENZIALE DI 6 MILIONI. 

Sempre nella nota al bilancio previsionale si legge: «Circa il 20% dell’intera spesa corrente è costituito dagli oneri necessari al riequilibrio della gestione pensionistica». La spesa previdenziale dell’organismo viaggia verso i 6 milioni di euro. E a peggiorare le cose anche l’abitudine, in uso dagli Anni 90, di votare come presidente il membro con maggiore anzianità per liberare prima quella poltrona.
Per questo, in passato, abbiamo avuto Ugo De Siervo presidente per soli 140 giorni, Valerio Onida per quattro mesi e otto giorni, Giovanni Maria Flick per tre mesi e quattro giorni e Vincenzo Caianiello per 44 giorni.


BENEFIT A NON FINIRE. 


C’è da dire che su questo versante con l’elezione di Alessandro Criscuolo, in carica fino al 2017, le cose sono cambiate. Ma più in generale non deve meravigliare che, nonostante i forti tagli avvenuti tra il 2013 e il 2014, la nostra Corte costituzionale costa più del triplo di quella britannica. Anche perché l’Alta Corte si mostra molto generosa sul versante dei benefit: si accolla l’utenza telefonica domestica, garantisce l’auto di rappresentanza, non lesina sui costi di trasporto e di trasferta (taxi, treni o aerei poco conta), dà la viacard e il telepass. E accanto al telefonino o al pc di ordinanza, i giudici costituzionali si vedono assegnare anche l’uso di una foresteria nel Palazzo della Consulta o nel centrale immobile di via della Cordonata.
Ma è difficile chiedere di più agli ermellini. Nel bilancio previsionale si legge infatti che «la Corte non ha chiesto la rivalutazione, pur spettante in base ai parametri di rivalutazione monetaria, per le dotazioni degli organi costituzionali, far data dal 2009». Come dire, noi la nostra spending review l’abbiamo già fatta.

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