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Pagina 85 - COP21/CMP11: la fiera delle vanità e delle ipocrisie







COPI21-CMP11 a Parigi

Una fiera delle vanità e dell’ipocrisia.

COPI21-CMP11 a Parigi
Una fiera delle vanità e dell’ipocrisia.

La ventunesima Conferenza delle parti (Cop 21) si appresta dunque in questi giorni ad affrontare il tema del cambiamento del clima e il modo in cui combattere il nemico, i Ghg. Il vero imputato sui tavoli di Parigi saranno i gas a effetto serra (Ghg), il cui aumento è ritenuto univocamente la causa dell’aumento delle temperature globali. Tante belle parole, vertici internazionali e report, ma la notizia più importante e scoraggiante è infatti che le emissioni di gas serra hanno raggiunto il loro record storico: la CO2 ha raggiunto nel 2014 la media di 397,7 ppm (il 26 novembre 2015 era di 400,69 ppm) e sta crescendo di oltre 2 punti all’anno. Secondo i climatologi il limite critico da non superare è proprio 400 ppm (parti per milione). Siamo dunque a un passo dalla soglia di accettabilità prima di gridare all’emergenza totale.



 USA, India e Cina i maggiori responsabili

L'India. Come accennato all'inizio, non tutti i Paesi sono d'accordo con la necessità di ridurre l'utilizzo di combustibili fossili. Come si evince dalle parole del premier indiano Narendra Modi, che ha rivendicato il diritto allo crescita per il proprio Paese, puntando il dito contro le nazioni ricche che devono assumersi più responsabilità nella lotta ai cambiamenti climatici.  La giustizia vuole che, con il poco carbone che ancora posiamo bruciare in modo sicuro, i Paesi in via di sviluppo possano crescere", ha ribadito Modi. "Gli stili di vita di pochi non devono eliminare le opportunità dei tanti ancora ai primi passi della scala dello sviluppo".

La Cina.
La posizione è condivisa con il primo 'inquinatore' mondiale, la Cina, il cui presidente Xi Jinping ha confermato l'impegno di Pechino a raggiungere il picco di emissioni entro il 2030. Tuttavia ha anche ribadito, in base al cosiddetto principio della 'responsabilita' differenziatà, che la lotta a cambiamenti climatici "non dovrebbe negare le legittime necessità dei Paesi in via di sviluppo di ridurre la povertà e migliorare gli standard di vita della propria popolazione".

Gli Usa. 
Tra i primi leader a parlare, il presidente Usa Barack Obama: "Sono venuto di persona come rappresentante della prima economia mondiale e del secondo inquinatore per dire che noi, Stati Uniti, non solo riconosciamo il nostro ruolo nell'aver creato il problema ma che ci assumiamo anche la responsabilità di fare qualcosa in proposito. Possiamo cambiare il futuro qui e adesso". E ha aggiunto: "Bisogna agire ora, mettendo da parte gli interessi di breve termine. Siamo l'ultima generazione a poter salvare il pianeta".


 Sopra il terzetto degli inquinatori patentati: USA.CINA, INDIA
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Il sistema di difesa USA é il maggiore imputato.
Prendendo atto di una affermazione non sospetta e venendo a noi, ci dovrebbe preoccupare che uno dei maggiori contribuenti al riscaldamento globale non abbia alcuna intenzione di accettare di ridurre l’inquinamento anche in vista della scadenza parigina. Il problema in questo caso è il Pentagono, che occupa 6.000 basi negli Stati Uniti e più di 1.000 basi in più di 60 paesi stranieri. Secondo il “2010 Base Structure Report”, l’impero globale del Pentagono include più di 539.000 strutture in 5.000 siti che coprono più di 28 milioni di acri, bruciando 350.000 barili di petrolio al giorno (solo 35 paesi nel mondo consumano più) senza contare l’olio bruciato da appaltatori e fornitori di armi. La fornitura di carburante riguarda più di 28.000 veicoli blindati, migliaia di elicotteri, centinaia di aerei da combattimento e bombardieri e vaste flotte di navi militari.
L’Air Force rappresenta circa la metà del consumo di energia operativa del Pentagono, seguita dalla Marina Militare (33%) e dall’esercito (15%). Ironia della sorte, la maggior parte del petrolio del Pentagono viene consumato in operazioni dirette a proteggere l’accesso degli Stati Uniti al petrolio straniero e le rotte di navigazione marittima per trasportarlo. Si stima che la guerra in Iraq del Pentagono abbia generato più di tre milioni di tonnellate di inquinamento da CO2 al mese per la sola movimentazione di sistemi d’arma (aerei, carri, autoblindo, tank, aerei etc.).


Previsioni concrete (?)
La conferenza Cop 21 sui cambiamenti climatici in corso a Parigi difficilmente si concluderà con annunci storici. Ed è improbabile che l’accordo per la limitazione delle emissioni inquinanti raggiunto dai 195 Paesi rappresentati al vertice sarà vincolante. 
Ma se invece sarà un successo, come auspicato dal presidente francese François Hollande e dal segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon, i settori industriali si divideranno tra vincitori e vinti: avrà da guadagnarci il comparto delle tecnologie per il risparmio energetico, mentre aumenterà la pressione sui produttori di energia da carbone e petrolio, i gruppi automobilistici, le compagnie aeree e i cementifici. Con effetti particolarmente pesanti, paradossalmente, per aziende partecipate dallo stesso stato francese che ospita e promuove l’iniziativa.


Le previsioni economiche di una banca.
Insomma si fanno i soldi in un modo o nell'altro.
Sono le previsioni di Credit Suisse, che dedica un report alle possibili conseguenze della conferenza internazionale. Secondo gli analisti della banca svizzera, un più rapido passaggio all’energia pulita e maggiori investimenti in soluzioni per l’efficienza energetica andranno a favore dei produttori “con un’esposizione superiore alla media a gas, solare,eolicoidroelettrico.
Così come delle compagnie che offrono soluzioni per l’efficienza dei consumi nel settore residenziale e in quello dei trasporti”. Tra i potenziali vincitori ci sono il gruppo austriaco Verbund, la spagnola Iberdrola, la portoghese Edp, la britannica Centrica.
Ma anche Royal Dutch Shell eTotalSvantaggiate invece la tedesca Rwe e la ceca Cez. “La maggior parte dei gruppi del petrolio e del gas investono anche nelle rinnovabili, con l’eolico, il solare e i biocarburanti come settori di intervento più comuni”, ricorda il rapporto.
“Tuttavia, nessuno di questi segmenti di business in questo momento è determinante se confrontato con la parte legata agli idrocarburi”. Per questo “il peggior esito per le compagnie petrolifere sarebbe un meccanismo globale e obbligatorio di attribuzione di un prezzo alle emissioni di carbonio, con relativi costi di implementazione e spese per adeguarsi”.
Per quanto riguarda i gruppi automobilistici, il rischio è legato al fatto che “il loro potere di fare il prezzo è limitato, cosa che impedisce loro di scaricare sui consumatori maggiori spese in ricerca e sviluppo e in altri investimenti”.
In più “l’industria dell’auto è già sotto la lente dopo lo scandalo delle emissioni legato a Volkswagen“. E il 14 dicembre il Parlamento europeo voterà sulla proposta di legge relativa ai nuovi test. “Un risultato aggressivo della conferenza Cop21 metterebbe pressione aggiuntiva sulle aziende”, spiegano gli analisti. I gruppi meno esposti sono Tesla e Toyota, mentre i più a rischio risultano essere Peugeot, Renault e ovviamente Volkswagen.
Le compagnie aeree, già in sofferenza in seguito all’emergenza terrorismo, in caso di approvazione di standard più rigidi per quanto riguarda le emissioni dei motori degli aerei dovranno sostenere ingenti investimenti per rinnovare le flotta. A subire l’impatto più pesante sarebbero, stando all’analisi di Credit Suisse, Air France e Lufthansa. La prima ha “sottoinvestito per sistemare il proprio bilancio e ha meno spazio di manovra rispetto a tutte le altre per aumentare gli investimenti”. Scarso impatto invece, secondo gli specialisti del comparto aereo della banca svizzera, per Ryanair e EasyJet.






























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