i suoi primi quarant’anni
Un
quotidiano che arriva a 40 anni di vita in queste temperie e un direttore che
l’ha guidato negli ultimi vent’anni non sono fatti modesti in una nazione dove
negli ultimi 20 anni i quotidiani cartacei hanno perso metà degli acquirenti
quotidiani: dai 6,8 milioni del 1994 ai 3,76 milioni del 2014. Cui vanno aggiunte
nel 2014 circa 450.000 copie digitali. La Repubblica ha sempre avuto
presente tra i collaboratori il suo
fondatore principale Eugenio Scalfari. Pochi giorni or sono il CdA del Gruppo
Editoriale ha annunciato le dimissioni volontarie dell’attuale direttore, Ezio
Mauro e la nomina dell’attuale direttore de La Stampa, Mario Calabresi.
Ezio Mauro inizia la
propria carriera giornalistica a Torino alla Gazzetta del Popolo nel 1972,
approda come corrispondente da Mosca a Repubblica nel 1987, torna alla gazzetta
torinese nel 1990 fino al 1996 quando viene nominato come direttore de La
Repubblica in sostituzione del fondatore e direttore Eugenio Scalfari..
La prima reazione forte
a questo annuncio sono state le dimissioni di Adriano Sofri collaboratore di Repubblica e condannato in via
definitiva per l’omicidio del padre di Mario Calabresi, il commissario Luigi
Calabresi. Sofri ha
annunciato su Il Foglio che lascerà la collaborazione con il
quotidiano fondato da Scalfari.
La Repubblica come tutti i quotidiani ha una massa di problemi
comuni alla concorrenza cui si aggiunge
un particolare critico: tutte le sue pagine culturali e dei media sono troppo disperse e
meriterebbero di trovarsi in un inserto proprio.
Ovviamente le dimissioni di Mauro e la nomina di Calabresi, peraltro
avvenute senza comunicarle al fondatore se non a fatti avvenuti, hanno fatto
scrivere alla concorrenza che LaRepubblica virava verso il renzismo,
abbandonando e l’autonomia di cui va fiera e il cosmopolitismo del suo stare in
Europa.
Va anche detto che la situazione direttoriale al giornale aveva già
mostrato un certo affanno e blocco che avevano stimolato l’uscita o la fuga del
vicedirettore Massimo Giannini a Ballarò. Già prima della dipartita di Giannini l’editore doveva rendersi conto
che la direzione andava ammodernata promuovendo gli interni senza attere due
anni prima di decidere il cambio del direttore. Così la redazione del giornale non
gradiva la rincorsa della direttrice del TG3 che impostava il proprio TG con la scaletta del quotidiano. Però il
limite era-é della Berliguer e non di Mauro o di Giannini.
Il fondatore Scalfari
ha provveduto a precisare in una intervista i valori che formano la sostanza del lavoro giornalistico nel quotidiano.
Si riassumono in nove parole: libertà, eguaglianza, fraternità, giustizia,
democrazia, divisione dei poteri costituzionali, diritti, doveri, innovazione.
I primi tre, libertà eguaglianza fraternità, derivano dall'Illuminismo inglese
e soprattutto francese e dalla grande rivoluzione del 1789 quando il Terzo
Stato diventò costituente e il potere assoluto cadde per far luogo al potere
costituzionale. Soprattutto i primi due, libertà e eguaglianza. L'una non può
vivere senza l'altra perché libertà senza eguaglianza diventa privilegio dei
forti sui deboli e eguaglianza senza libertà diventa una caserma dove comandano
demagoghi e/o tiranni.
La giustizia è il canone giuridico dell'eguaglianza, i diritti e i doveri sono reciprocamente dovuti dallo Stato ai cittadini (i diritti) e dai cittadini allo Stato (i doveri). Infine l'innovazione rappresenta la spinta, il motore, i desideri che alimentano la vita evitando un letargo che comprime la vita in un percorso ripetitivo senza alcuna creatività. Questi sono i nostri valori e questa è la pubblica opinione della quale siamo la voce. Un'opinione sostanzialmente laica che però ha recentemente incontrato anche dei Papi innovatori.
La giustizia è il canone giuridico dell'eguaglianza, i diritti e i doveri sono reciprocamente dovuti dallo Stato ai cittadini (i diritti) e dai cittadini allo Stato (i doveri). Infine l'innovazione rappresenta la spinta, il motore, i desideri che alimentano la vita evitando un letargo che comprime la vita in un percorso ripetitivo senza alcuna creatività. Questi sono i nostri valori e questa è la pubblica opinione della quale siamo la voce. Un'opinione sostanzialmente laica che però ha recentemente incontrato anche dei Papi innovatori.
Probabilmente non c’era grande scelta sul mercato “dei direttori” e quindi
l’arrivo di Calabresi, nel corso degli antichi scambi tra il giornale romano e
quello torinese, ha almeno un suo senso storico. Il fatto é che La Stampa viene
recepita ancora come giornale locale, giornale piemontese piuttosto che
giornale nazionale ed europeo, che é poi l’orientamento maggiore nei redattori
di repubblica. Anche le maggiori-migliori penne del quotidiano romano hanno
maggiore grip rispetto a quelli del piemontese.
La redazione non prevede una virata della linea di Repubblica verso il
partito della nazione anche se Calabresi non ha certo il retroterra culturale
dei creatori di Repubblica.
Il fatto é che un quotidiano cartaceo é qualcosa di molto umano, filiale,
nella forma, odore, design, impaginazione, colore. Prenderlo in mano al mattino
é una soddisfazione. La produzione di un giornale cartaceo oggi é un NONsenso
economico pure in una situazione di forte digital divide che la scarsa
conoscenza dei lettori mantiene anche in
tempi di segnali satellitari. Nella vendita di un giornale guadagnano di più
tutti quelli che non lo producono, oltre ad essere un grande costo industriale
e ambientale.
Però l’idea che gli articoli di un giornale si leggano in corpo 3-4-5 su un
cellulare con una schermo da 5,5 pollici é una stupidaggine pazzesca.
Chi s’é attrezzato può leggere il giornale digitale su una smart tv ma non
é una soluzione “pratica” così facilmente perseguibile.
Adesso vedremo …
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